12 Mar 2013
di Vincenzo Intermite
Il 20 febbraio scorso, grazie ad un’indagine della Guardia di finanza a seguito di una denuncia di un gruppo di lavoratori stranieri, è riemerso, dopo un simile caso risalente al 2001, il fenomeno della riduzione in schiavitù della manodopera immigrata nel settore degli impianti fotovoltaici nel Salento. Si tratta di lavoratori di origine africana e asiatica che avevano denunciato, sin dal 2011, alle autorità italiane, condizioni di lavoro disumane in cambio di salari inferiori ai limiti di sussistenza: giornate interamente dedicate al lavoro, niente giorno di pausa, contratti a brevissimo termine in modo da tenere i lavoratori costantemente sotto ricatto, salari non corrispondenti a quanto dichiarato in busta paga, totale assenza di assistenza medica. L’azienda schiavista è la spagnola Tecnova, operante nel Brindisino e nel Leccese che, peraltro, nel marzo del 2011, dopo essersi avvalsa dell’opera di questi lavoratori per gli impianti fotovoltaici di Galatina, ha sbaraccato e ha lasciato l’Italia senza versare gli stipendi di gennaio e febbraio a 480 operai. Nell’aprile del 2011, quindici persone sono state arrestate per associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, ma nel maggio successivo il Tribunale del riesame di Lecce ha rigettato tale accusa e ha disposto gli arresti domiciliari per gli indagati. Perché i lavoratori stranieri, per tanto tempo hanno accettato condizioni di lavoro così dure e hanno denunciato solo quando la situazione era diventata davvero intollerabile? Per non perdere quel pezzetto di carta, che per loro è la vita stessa, denominato “permesso di soggiorno” e che l’infame legge italiana sull’immigrazione subordina al possesso di un lavoro qualunque esso sia.
Il 18 febbraio scorso gli stranieri internati nel cosiddetto centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria si sono ribellati a sostegno di un loro compagno che si opponeva al decreto di espulsione che gli era stato inoltrato. L’episodio ha riportato alla ribalta la questione dell’opportunità dal punto di vista giuridico ed etico dell’esistenza di tali strutture in un paese che si dice democratico. In esse, infatti vengono puntualmente e sistematicamente violate tutte le norme che dovrebbero caratterizzare un paese civile, dalle leggi ordinarie a quelle costituzionali, dal diritto interno a quello internazionale, finanche ai diritti naturali del giusnaturalismo seicentesco e illuministico che costituiscono i pilastri stessi di qualunque comunità democratica: basti pensare che persone che non hanno commesso alcun reato vengono rinchiusi in carceri superaffollate in condizioni di vita miserevoli e senza nulla sapere della durata della loro detenzione (cfr. la risposta di Furio Colombo alla lettera di una lettrice sul Fatto Quotidiano del 5 marzo 2013, p. 23). Tutto ciò in virtù di una legge balorda e razzista che equipara una condizione di vita (immigrato privo di documenti) ad un reato.
Il 28 febbraio lo Stato italiano ha abbandonato a se stessi per decreto i fuggiaschi un anno fa sbarcati in Italia dalla Libia dove infuriava la guerra civile, dunque rifugiati politici. I loro compagni erano stati assassinati dallo sciagurato trattato di amicizia tra il governo Berlusconi-Maroni e Gheddafi, a cui l’allora Presidente del Consiglio baciava le mani, e che prevede il respingimento in mare per gli stranieri indesiderati dal governo italiano. Così molti uomini in fuga da una situazione di guerra e perseguitati per motivi politici sono morti affogati o sono stati consegnati nelle mani di uno psicopatico. Responsabile di tutto ciò è il governo italiano di allora e quello successivo che nulla ha fatto per rimediare almeno in parte a questa vergogna che declassa l’Italia a livelli infimi nel consesso delle comunità politiche planetarie.
Sono questi gli effetti nefasti dell’insana legislazione adottata, in materia di immigrazione, dal governo Berlusconi spalleggiato da un movimento dichiaratamente e palesemente xenofobo fondato su una ideologia strutturalmente e irrimediabilmente ammorbata da farneticazioni völkisch simil-naziste. Non ci sembra che il governo Monti seguito alle dimissioni di Berlusconi abbia mai preso posizione su questa plateale violazione dei diritti umani, né ci sembra che tale intenzione sia nei programmi delle formazioni politiche che, dopo le ultime consultazioni elettorali, si preparano, pur fra mille difficoltà, a formare il nuovo governo.
Chiediamo a gran voce a queste formazioni politiche di porre fine a queste infamie smantellando tutto il complesso legislativo in materia di immigrazione fortemente voluto dalla Lega Nord e avviando nuove politiche degne di un paese civile, fondate sulla solidarietà, sul rispetto della dignità umana, sulla centralità di quel lavoro che caratterizza il primo articolo della nostra Costituzione, sul riconoscimento della diversità di ogni individuo e di ogni cultura, sul rispetto dei diritti civili e dell’umanità d’ognuno!