10 Ago 2018 appalti, filcams, filt, flai, infortunio lavoro, italpizza, salute sicurezza,
L’infortunio occorso alla 22enne nigeriana presso l’Italpizza di San Donnino di Modena è emblematico delle nuova organizzazione del lavoro che si sta insediando in molte aziende del territorio modenese. Le attività produttive sono ormai completamente appaltate a cooperative di lavoratori, per lo più stranieri, giovani, precari, addetti a mansioni in luoghi di lavoro con rischi elevati.
Si estremizzano le condizioni di lavoro, all’insegna della massima flessibilità e della massima saturazione organizzativa possibile, incrementando così i rischi connessi alle attività produttive nonché i cosiddetti “rischi da interferenza” come quello occorso alla lavoratrice. Il tutto in cambio di retribuzioni e applicazioni contrattuali assolutamente non adeguate.
Questa è anche la fotografia di Italpizza. L’azienda è in continua espansione e recentemente è stata deliberata una variante per l’ampliamento dello stabilimento che, ad oggi, occupa oltre 600 dipendenti, di cui il 90% in attività appaltate.
Questo è il modello che, ci si dirà, è imposto dai fenomeni economici della contemporaneità e dalle sfide della globalizzazione (attualmente Italpizza esporta i propri prodotti in più di 50 paesi, per una quota di fatturato del 65%, vantandosi di rappresentare fieramente il marchio del “made in Italy” nel mondo e di essere garante della tipica produzione italiana).
Ma non è certamente il modello che vorremmo per il nostro territorio e immaginiamo che non sia neanche il modello che le nostre istituzioni avevano in mente quando hanno sottoscritto il “Patto per la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva della città di Modena e del suo territorio”, sottoscritto nel 2014 e richiamato appunto nella variante urbanistica prevista per l’ampliamento dello stabilimento Italpizza.
La verità è invece che, come spesso succede in queste situazioni, si tratta di un’azienda che ha deciso di puntare tutto sugli appalti di lavorazioni e sulla flessibilità degli orari di lavoro, non garantendo, attraverso questa catena di esternalizzazioni e di vera e propria “deresponsabilizzazione di impresa” retribuzioni adeguate agli operatori (veri artefici e custodi di questa produzione tipicamente “made in Italy”) e condizioni di lavoro rispettose, con conseguente aumento dei margini di rischio per le persone impiegate.
Auspichiamo che la ragazza possa riprendersi velocemente e che la medicina del lavoro verifichi le responsabilità in un cantiere dove numerose sono le interferenze tra le attività in appalto: attività logistiche, attività di produzione di pizze, attività che ogni qualche anno passano da una cooperativa all’altra.
Flai-Cgil / Filcams-Cgil / Filt-Cgil
Modena
Modena, 10 Agosto 2018
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