NO ALLA REVOCA DELLA CARTA DI SOGGIORNO PER MANCANZA DEL REDDITO

28 Gen 2015

 

di Ciro Spagnulo

Tra i comportamenti discutibili messi in atto da alcune questure c’è spesso la revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (carta di soggiorno) in fase di aggiornamento a causa della mancanza del requisito reddituale. E’ un comportamento illegittimo. Lo confermano due recenti sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia del 14 gennaio 2015, la n. 115 e la n. 128.

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Con la sentenza n.115 i giudici hanno accolto il ricorso di un cittadino pakistano contro il provvedimento di revoca del titolo di soggiorno di lungo periodo, del quale lo stesso era titolare dal 2009, per la mancata sussistenza di un regolare rapporto di lavoro e, di conseguenza, di un reddito sufficiente alla permanenza sul territorio nazionale. Da accertamenti effettuati sull’anagrafica contributiva presso la banca dati INPS e dell’Agenzia delle Entrate era infatti emerso che i suoi redditi erano fermi a dicembre 2008. Il cittadino pakistano a sostegno del proprio ricorso ha eccepito la violazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 286/1998, dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, della direttiva 2003/109/CE e “l’eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria e arbitrarietà, atteso che l’amministrazione intimata avrebbe revocato illegittimamente la carta di soggiorno della quale lo stesso era titolare a tempo indeterminato per una causa non contemplata dalle disposizioni di legge allo stato vigenti”. I giudizi hanno dapprima accolto l’istanza cautelare proposta dal cittadino pakistano con ordinanza n. 1228/2014 del 18 settembre 2014 e poi con la sentenza.

Nella sentenza i giudici riportano alcuni stralci del disposto letterale dell’art. 9 del d.lgs. n. 286/1998 che disciplina i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e i casi di revocabilità, tra i quali non è previsto il venir meno della disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale.

Scrivono i giudici: “In presenza di tale elencazione (dei casi di revocabilità, ndr), che il collegio ritiene tassativa in considerazione della forte protezione accordata dall’ordinamento allo straniero che soggiorna legittimamente in Italia da un lungo periodo, risulta illegittimo l’operato dell’amministrazione intimata, che ha disposto la revoca del titolo di soggiorno di lungo periodo e denegato l’aggiornamento del medesimo unicamente in relazione all’assenza di un rapporto di lavoro regolare e del conseguente mancato possesso di redditi sufficienti alla permanenza dello straniero sul territorio nazionale, invocando l’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, norma, invece, di carattere generale sulla quale deve prevalere quella speciale più volta più volte citata (art. 9 deld.lgs. n. 286/1998, ndr)”.

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Anche con la sentenza n. 128 i giudici, gli stessi della precedente, e sempre contro un provvedimento della Questura di Milano, sentenziano che un permesso di lungo periodo, in base alle disposizioni interne e comunitarie, viene rilasciato a tempo indeterminato, ed è revocabile solo nei casi previsti, tra i quali, sulla base delle disposizioni di legge vigenti, non rientra il mancato possesso di redditi dichiarati. I giudici hanno respinto anche le altre motivazioni addotte dalla Questura, la quale, facendo riferimento all’art. 21 quinquies della L. n. 241/90, afferma che “il riscontro della mancanza di redditi da un così protratto e continuato lasso di tempo rivela come la sua integrazione sociale non si sia mai effettivamente compiuta”; che “la mancata produzione di reddito, in totale assenza di altre legittime fonti di ricchezza, fa ritenere che il Sig. XXX abbia realizzato un’evidente evasione fiscale”, che giustificherebbe ulteriormente la revoca “visto che il compito di scoprire e punire questi comportamenti illeciti è affidato alla pubblica amministrazione in generale”; che, in linea generale, i soggetti che come il ricorrente hanno cessato di produrre o denunciare redditi “hanno smesso di contribuire alla spesa per i servizi pubblici, pur avvantaggiandosi delle elargizioni, che spesso sono legate proprio alla titolarità di un permesso di lungo periodo”.

Osservano i giudici che le considerazioni della Questura non solo sono fondate su mere supposizioni, ma “non possono rilevare ai fini del dell’adozione del provvedimento impugnato, che sotto tale aspetto è viziato da eccesso di potere per sviamento, consistente consistente infatti nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero nell’esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso (C.S. Sez. VI, 3.7.2014 n. 3355). Se è infatti pur vero che l’Amministrazione procedente, laddove ritenga essere in presenza di fattispecie riconducibili alla “evasione fiscale”, debba avviare i relativi procedimenti repressivi e sanzionatori, è altrettanto indubbio che una presunta, e non accertata, violazione degli obblighi tributari, non può legittimamente essere posta a fondamento di un provvedimento, come quello di specie, regolato da una normativa che attribuisce all’Amministrazione la disciplina della permanenza dei cittadini stranieri sul territorio nazionale, incidendo sul relativo status, senza che pertanto la finalità di perseguire eventuali illeciti fiscali, peraltro tutt’altro che appannaggio dei soggetti destinatari delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 286/98, possa pregiudicarne l’applicazione”.

Con riferimento poi all’accusa di evasione fiscale, i giudici scrivono “che il ricorrente ha espressamente indicato i nominativi delle aziende che si sarebbero rifiutate di regolarizzare i rapporti di lavoro intrattenuti con il medesimo, allegando altresì documentazione volta a comprovare il concreto svolgimento degli stessi. Quanto precede avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a dubitare fortemente che, nella fattispecie, l’evasione fiscale fosse imputabile all’attuale ricorrente, come invece affermato nel provvedimento impugnato, secondo cui la stessa sarebbe stata ‘una scelta’ del medesimo, essendo invece plausibile che l’istante abbia subito le scelte di altri, ciò che comunque l’Amministrazione può verificare, avendo il ricorrente corredato le proprie affermazioni da documentazione e nominativi delle ditte interessate”.

Per i giudici, infine, “i predetti argomenti della Questura, sebbene espressione di condivisibili preoccupazioni in ordine alla tenuta dell’attuale sistema sociale, a fronte del fenomeno migratorio, sono tuttavia di natura metagiuridica, e come tali inidonei a configurare una legittima base normativa all’esercizio della revoca di un permesso di lungo periodo che invece, come detto, in base alle disposizioni interne e comunitarie, viene rilasciato a tempo indeterminato, ed è revocabile solo nei casi ivi previsti, tra i quali, allo stato, non rientra il mancato possesso di redditi adeguati, e la correlativa insufficiente contribuzione al sistema sociale”.

tribunale-amministrativo-regionale-per-la-lombardia-sentenza-del-14-gennaio-2015-n-115[1]

tribunale-amministrativo-regionale-per-la-lombardia-sentenza-del-14-gennaio-2015-n-128[1]

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