28 Gen 2015
di Ciro Spagnulo e Mohcine El Arrag
Sul finire del 2014, con un evento organizzato con il sostegno di Open Society Foundations, la Rete G2 ha ricordato alla classe politica che nonostante le promesse, anche quelle dell’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi, la normativa vigente in materia di cittadinanza è ancora quella del 1992, anno di promulgazione della legge n. 91, quando le nascite dai genitori con cittadinanza straniera erano 5.750, l’1 per cento delle totale, mentre oggi, venti anni dopo, vivono in Italia quasi 1 milione di bambini e giovani con background migratorio. Più della metà, ha detto, sono nati qui, molti sono arrivati da piccolissimi, e la normativa vigente non risponde più a questa realtà, continua ad ignorare minori e giovani che si sentono cittadini senza esserlo da un punto di vista giuridico: con il rischio di alimentare sentimenti di frustrazione e di ingiustizia che potrebbero ipotecare il futuro civile del Paese. Perché essi sono il futuro del Paese.
I giovani della Rete G2 non solo sono tornati a denunciare l’anacronismo delle norme e a chiederne di nuove, ma hanno messo in guardia da soluzioni pasticciate che non permettano davvero di voltare pagina. Sanno, infatti, che su di loro si svolge una battaglia ideologica, lontana dai loro interessi concreti. Lo dicono le promesse mancate che si susseguono anno dopo anno; l’iter interminabile della discussione; il succedersi delle mediazioni, tutte al ribasso, come quella che vorrebbe vincolare la cittadinanza al cosiddetto ‘ius culturae’, un’invenzione che spalanca la porta a battaglie identitarie.
Hanno ragione la Rete G2. E’ già da tempo che i vari governi avrebbero dovuto prendere atto che quello in cui viviamo è un paese diverso, plurale, ma giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, su questa tema, ma non solo, si sono rivelati incapaci di reggere alla prova dei tempi. Dimostri il governo in carica che ci sbagliamo. Che il buon senso esiste ancora. Faccia in modo, finalmente, che una parte importante e vitale del Paese non sia più costretta a sentirsi straniera.