UN ASSE LONDRA-BERLINO CONTRO LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI UE

30 Mar 2015

 

Secondo il deputato tedesco Stephan Mayer, membro della Commissione per gli affari interni del Bundestag e portavoce della CSU della Baviera, che sostiene la campagna contro il cosiddetto “turismo sociale” in Europa, Regno Unito e Germania vogliono entrambi introdurre un maggiore controllo all’accesso dei migranti ai servizi sociali e sanitari europei.

In una conferenza organizzata a Londra dal think tank Open Europe, ha detto che i fatti dimostrano una vera e propria crescita del problema degli abusi del sistema sociale da parte dei migranti europei. Siamo favorevoli all’immigrazione verso il mercato del lavoro – ha affermato Stephan Mayer – ma siamo contro l’immigrazione verso i centri per l’impiego.

L’introduzione di controlli più severi in materia di accesso alle prestazioni sociali per gli immigrati europei sembra quindi una prospettiva sempre più vicina, e potrebbe svolgere un ruolo chiave nella rinegoziazione dell’adesione del Regno Unito all’Unione europea. Il premier britannico David Cameron ha annunciato infatti che, se vincerà le elezioni di maggio, i termini di adesione del suo paese all’Unione europea saranno rinegoziati, e che un referendum sarà indetto su questo entro il 2017. L’immigrazione sarà probabilmente un tema chiave.

Anche per Ii primo vice-presidente della Commissione, l’olandese Frans Timmermans, il sostegno pubblico alla libertà di circolazione potrebbe essere compromesso se questa venisse percepita come una minaccia per i sistemi sociali nazionali.

Berlino e la Commissione europea hanno assicurato che il principio della libera circolazione in quanto tale non sarà toccato. Diffile da credere, quando soltanto pochi giorni lo stesso Timmermans ha affermato che l’accesso al lavoro e l’accesso alla sicurezza sociale sono due cose diverse, sostenendo così a tutti gli effetti l’idea avanzata dal Regno Unito, secondo cui l’accesso al welfare nazionale dovrebbe applicarsi solo ai cittadini del singolo paese, e non tutti i cittadini europei.

Il Ministro degli Affari Esteri della Lettonia, che attualmente detiene la presidenza di turno dell’UE, ha tuttavia suggerito che dei cambiamenti possono essere effettuati nel contesto della politica interna degli Stati membri.

I conservatori britannici insistono, dal canto loro, affinché gli immigrati europei siano esclusi dalle prestazioni legate al lavoro, ad esempio la disoccupazione, durante i primi quattro anni di residenza nel Regno Unito. Vogliono anche porre fine agli assegni familiari percepiti dai lavoratori europei i cui figli a carico vivano al di fuori del Regno Unito. Il tedesco Stephan Mayer ha sostenuto tali posizioni: Sono d’accordo – ha detto – ad attribuire gli assegni familiari a seconda del paese in cui risiedono i figli.

Detto così, sembrerebbe che le misure richieste da Regno Unito e Germania siano solo, come dire, dei piccoli aggiustamenti. In realtà esse mettono in discussione i pilastri della libera circolazione delle persone, e quindi dell’intero progetto europeo.

Ad esempio, il principio della “parità di trattamento” sancito dall’articolo 24 della direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE, o ancora, il principio secondo cui ogni persona ha diritto alle prestazioni familiari “anche per per i membri della famiglia residenti in un altro Stato membro” (art. 67 del regolamento UE 883/2004 sul coordinamento della sicurezza sociale).

Lìapplicazione eventuale di simili regole restrittive avrebbe solo un effetto demagogico. Il reale impatto sulle finanze sarebbe infatti trascurabile: in Germania, dei 14 milioni di bambini aventi diritto alle prestazioni familiari, solo lo 0,6% vive all’estero. Tuttavia, questo può avere un impatto disastroso sulle famiglie dei migranti, come ad esempio i circa 144.000 lavoratori polacchi che vivono in Germania e hanno almeno un figlio a carico ancora residente in Polonia. (Fonte: Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in Europa)

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